ACQUA ALL'ARSENICO
Artcolo tratto da IL SALVAGENTE, n. 4 del 27 Gennaio 2011Oltre 7 anni di deroghe per risolvere un problema conosciuto da tutti, quello dell’arsenico. È dal 2003, che l’Italia rende potabili acque con contenuto un cancerogeno certo di classe 1 (la definizione è della Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro) fino a 50 microgrammi/litro, ovvero cinque volte il limite provvisorio disposto dall’Unione Europea e dalla stessa legge italiana. In tutti questi anni nessuna soluzione è stata trovata e le popolazioni residenti nelle zone interessate (oltre 130 comuni italiani tra cui tutti quelli della provincia di Viterbo), nella quasi totalità dei casi non hanno ricevuto nessuna forma adeguata e diffusa d’informazione relativa a questa situazione di rischio per la salute, derivante non solo dall’assunzione di acque con elevata presenza di arsenico ma anche dal consumo di alimenti preparatati con le stesse.
E così è dovuta intervenire, lo scorso 28 ottobre 2010, la Commissione Europea, respingendo l’ennesima richiesta di deroga del governo italiano. Tutto ciò viene per lo più sottaciuto e minimizzato e così si continuano a rimandare le soluzioni e gli interventi necessari. Il 29 novembre scorso la nostra associazione ha indicato e sintetizzato in 10 punti le proposte per affrontare rapidamente ed efficacemente il problema. Riteniamo indispensabile che si faccia subito una cosa semplice: rispettare le leggi e il diritto all’informazione e alla salute delle persone. Questo è possibile immediatamente con apparecchi mobili per la dearsenificazione collettiva da installare su tutte le prese d’acqua degli acquedotti comunali interessati dal problerma. Questi impianti mobili e pilota, una volta appurata la loro efficienza, possono poi diventare stabili e nel frattempo si può fornire acqua potabile ai cittadini da fonti alternative anche mediante autobotti, limitando l’utilizzo dell’acqua non trattata al solo uso igienico-sanitario e rifornendo con acqua dearsenificata anche gli esercizi pubblici e le industrie alimentari. Ma non basta. Le popolazioni dovevano e devono essere informate urgentemente, come nel loro diritto sugli usi consentiti e le limitazioni dell’acqua. Solo così sarà possibile effettuare una costante azione di pressione, vigilanza e attenzione sull’operato delle istituzioni perché si arrivi finalmente, dopo anni di colpevole ritardo, alla soluzione di quello che è un problema sanitario.
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